Il torto e il diritto del Non si può

1655 1671

 

 

Bartoli, Daniello

Titolo

Il torto e il diritto del Non si può

Stampe

Prima edizione:

1655: Il torto e il diritto del Non si può. All’insegna della Salamandra, in Parione.

Biblioteca dell’Accademia della Crusca - Firenze

Edizioni e ristampe:

1658: Il torto e il diritto del Non si può. In Venetia, presso Paolo Baglioni.

Biblioteca Nazionale Centrale - Firenze

1671: Il torto e il diritto del Non si può. In Venetia, presso Paolo Baglioni.

Biblioteca dell’Accademia della Crusca - Firenze

Biblioteca di Lettere e filosofia - Firenze

1674: Il torto e il diritto del Non si può. In Bologna, per Gioseffo Longhi.

 

Edizioni  esaminate

1655: (prima edizione) all’insegna della Salamandra, in Parione.

1671: in Venetia, presso Paolo Baglioni.

Sommario e contenuto dell’opera

L’opera si articola in una serie di osservazioni indipendenti l’una dall’altra e si presenta quindi non strutturata sul piano del contenuto, al quale rimanda però il ricco indice alfabetico, che ne facilita la consultazione. Rispetto alla prima edizione il contenuto e l’indice sono notevolmente accresciuti nella seconda, dove compare anche un’appendice sui ‘Verbi scorretamente usati in diversi lor tempi’. Sono lemmatizzate le voci corrispondenti ad accenti, affissi, articoli, aggettivi, avverbi, ‘gerondi’, ‘infinito’, nomi, particelle, participi, ‘preteriti’, ‘terminatione’, troncamento, verbo, oltre che numerose forme verbali (es. ‘aprì, concesse, dierono, fussi’, etc.), costrutti verbali (es. ‘invidiare alcuno, richiedere ad alcuno’), avverbi, congiunzioni, ecc. Nell’analisi delle singole forme è frequente il confronto con il latino non soltanto per ciò che riguarda le caratteristiche fonetiche e morfologiche della forma presa in esame, ma anche il contorno sintattico.

SOMMARIO

A’ lettori (edd. 1655 e 1671. La numerazione delle pagine, ove possibile, si riferisce all’ed. 1655) (cc. +1r-+6v);

Giunta dell’autore in risposta à due imputationi dategli dopo stampato la prima volta il libro (solo nell’ed. 1671) (pp. 18-29);

[La grammatica è divisa nei seguenti paragrafi (edd. 1655 e 1671):] acciò e accioche; come che in senso d’impercioche; Contento sustantivo; Avverbi spezzati; Gerondio in forza di participio; Esso posto a maniera d’avverbio; Dappoi, dipoi e dopo; Mai e non mai; Contro e contra; Gli, chi, che, si còme etc. stranamente accordati; Modo proprio del verbo andare; Io amavo, quegli amorono e simili fuor di regola; Cui, costui, colui senza articolo; Uso degli accenti; Verbi che traspongono l’l o l’n; Alcuna cosa detto in vece d’un poco; Saramento e sacramento; Medesimo in forma d’avverbio; Ogni e ognuno in senso di ciascuno; Figliuolo, figlio e primogenito; Del z e del t; L’infinito di verbo attivo senza affisso in forza di passivo; Piovere, tonare etc.; Del raddoppiare o nò le consonanti delle particelle affisse; Dar magnare, dar bere; Ameressimo, amassimo e simili fuor di regola; Onde avverbio; A mutato in e in alcuni tempi de' verbi della prima maniera; Tutti e tre, tutti e quattro etc.; Terminatione propria della prima mal usata nelle tre altre maniere de’ verbi; Mandare col gerondio; Volsi e volli dal verbo volere; Lui, lei, loro in primo caso; Primo e sesto caso dato a’ gerondi assoluti; Primo e sesto caso dato a’ participij assoluti; Il verbo essere col quarto caso; La particella come col primo e col quarto o sesto caso; Il piu variamente adoperato; Iddio in ogni caso: Pater nostri e Ave Marie ben detto; Aggettivi ben framezzati dal sustantivo; La particella con come si unifica con l’articolo; Perse e morse preteriti di perdere e morire; Navilio, vascello, sdrucire; Devo, devi, deve etc. per debbo etc.; Massime avverbio; Che tu sij e tu sia ugualmente ben detto; Presto avverbio; Non per tanto; Costruttione de’ verbi convenire, divenire e penare e d’essere col participio; I cognomi; Ancora, anco, anche; Puote preterito; Dentro e di fuori; Con tutto che, con tutto, tutto e tuttoche; Ardire, osare e creder con di e senza; Dove stia male adoperato il prenome gli; Fussi e fossi; Ortografia di gli, ci e ogni; Del replicare l’articolo a ciascun nome; Carcere in amendue i generi; Se debba dirsi Tu Sei o tu se; Delle parole disusate; Della congiuntione E et ed; Ciascheduno e nessuno; Per tutto avverbio e nome; Salvo, salvo che e salvo se; Dell’i doppio in fine d’alcuni preteriti e d’alcuni nomi; Semo, havemo, dovemo e simili se siano ben terminati; I participij preteriti retti da havere e da essere come s’accordin col nome; Avverbi come aggettivi e aggettivi come avverbi; Di certi gerondi che si pongono senza affisso; Della forza che ha il trasporre l’accento; Medesimo, stesso; Egli et eglino; Protestare; Che articoli si diano a’ sustantivi de’ quali l’uno è cosa dell’altro; Dovria, saria e simili sono ben terminati; Quello il quale posto a guisa di neutro; Bisognevole; Uscire col secondo caso e col sesto; Accrescimento a’ superlativi; Suo e suoi per loro; Questi e quegli primi casi del numero singolare; Della formation de’ preteriti; Quantunque avverbio; Fallire e fallare; Varie osservationi per accordare dove ha voci di piu generi e numeri; Del non accorciare la prima voce di niun verbo; Avvegnache, conciosia cosa che e altri simili col dimostrativo; Per lo e per il; Altri e altrui in caso retto e obliquo; Ci avverbio; Delle voci che non ammettono troncamento; Che che; Della s in principio di parola seguente altra consonante; A quali participij si dia il verbo essere e a quali l’havere, e di potuto e voluto che precedono all’infinito; Gioventù; Calere; e là, qui e qua, costì e costà; Faccio, nudo, muto, regi, dici, vedo e sparto; Se bene, di già, abbenche, ne meno, benissimo, ormai; Inchinare col terzo caso; Capo per guidatore detto anche di molti; L’infinito in forza di nome etiandio nel plurale; Giusto e giusta; Sperare per temere, promettere per minacciare; Appo; Se non fosse per se non fosse stato; Vo’ e vuo’; Proprietà de’ preteriti della prima maniera de’ verbi; Invidiare; Fiorenza; Niente, nulla, niuno etc.; Non dopo senza mutatione di senso; Tristezza per malinconia; Bandire e sbandire; Certa terminatione de’ nomi di maschio usata in genere feminile; Se all’infinito si debba il primo o il quarto caso; L’havere o l’essere taciuti dove il verbo il richiederebbe; Ci e vi avverbio; Mal’uso d’alcune terminationi e tempi de’ verbi (pp. 1-208);

[solo l’ed. 1671 continua con:] Porta e uscio; Battaglia di due, compianto d’un solo; Verbi indifferenti à ricevere il secondo e ‘l sesto caso; Ogni e qualunque come bene ò male si diano al plurale; Nomi composti d’acqua ò derivatine; Varietà lecita in moltissime voci e maniere; Senza accordato col participio; Habitare e habituro nomi; Altresì in principio di periodo; Fiata di tre sillabe e di due; De’ verbi che d’un genere passano in un’altro; Attivi neutri; Neutri  passivi o attivi fatti semplici neutri senza gli affissi loro dovuti; Nomi indifferenti ad essere dell’uno e dell’altro genere; La per ella; L’articolo dato a gl’avverbi; Terminationi fuor dell’ordinario d’alcuni nomi nel numero plurale; Dove sia necessario usare il relativo e non il possessivo; Amaro, usciro etc. ben terminati nelle prose; Due osservationi non necessarie a osservarsi (pp. 248-90);

Giunta di questa terza editione. La particella però adoperata per nondimeno; Aiutare e minacciare col terzo caso; Duo e duoi esser voci ancor della prosa; Se di presente vaglia solo per subito e non ancora per al presente; Se sia mal detto dar testimonio e simili; Questo detto di cose altrui presente; Partire senza l’affisso; Eclissi mascolino lui per a lui; Participare col quarto caso; Impaurire attivo; Timido per terribile; Trasmettersi col secondo caso; Nessuno esser ottima voce; Se debba pronuntiarsi amàvamo ò amavàmo e così leggèvamo ò leggevàmo etc.; Debbe per debet esser ben detto; Aere ottima voce e d’amendue i generi; Scordare per dimenticare; Malamente bene adoperarsi per male; Mediante dato al plurale; Voci sincopate frequenti ancor nella prosa, altre distese fuor dell’uso commune; Allargamento della voce ambascita, por mente col terzo càso e col quarto; Osservationi sopra il verbo trasandare; Lungo per accosto; Se si debba scrivere con la, con le etc. ò colla, colle etc.; Quando havere vale per essere il singolare darsi al plurale; Messe, promesse, rimesse etc. preteriti; Che forza habbia lasciamo stare; Appostatamente valere ancora l’apposite de’ latini; Chi dato ancor al plurale; Causa e cagione, causare e cagionare lor differenza; Con tutto che col dimostrativo; Concesse e concesso in prosa; Empiere, compiere, adempiere, riempiere, Supplire, signoreggiare, garrire col terzo caso, chiedere col sesto; Arbore e noce in genere feminile; Osservation sopra il valore, l’uso delle voci Italiane; Denno, fenno, e puonno àdoperati in prosa; Il dimostrativo dato alla particella che dove parrebbe doverlesi il soggiuntivo; Ancor la particella veramente accompagnata col dimostrativo; Certe voci del genere feminile che accresciute divengono maschie; Proprietà de’ verbi che servono alla memoria; Succedere doppiamente usato; Quanto che per avvegna che, ancorche, benche etc.; Del per di bene e vagamente usato; Nè non non valer più che ne solo; Senza più non significare altrimenti da quel che suona; Una libbra e mezzo è ben detto; Sanare neutro, enfiare attivo, ammalare neutro passivo; Particelle etiandio con vaghezza non che sol lecitamente trasposte; Fidare e confidare ancor senza affisso, fido ottima voce da prosa; Diventare esser buona voce; Se talento per gratia, dono etc. habbia esempi d’autorità; Compositione e componimento; Dovitie per ricchezze; Il superlativo col secondo caso; Degnare attivo, neutro, neutro passivo; Qual sia l’imperativo di trarre; Il sesto caso dato a certi verbi in iscambio del terzo; La voce simile restituita alla prosa, si allegano esempi in pruova del doversi consentire l’arbitrio dello scrivere con varietà dov’ella è lecita; Motteggiare attivo; La particella non adoperata senza nuocere nè giovare; Se possa dirsi una persona, il quale e simile d’altri modi; Dierono esser terminatione usata; Per quello che più volentieri accompagnarsi col soggiuntivo; Rena e arena e quinci arenare e arrenare; Capère e capire; Le frutta, le legna, le vestigia; Abbisognare, deliberare, derogare col quarto caso, adulare, richiedere, rinuntiare col terzo caso; Costà per colà; Vicinanza per prossimità; Chiunque dato a cosa; Celeste ottima voce in prosa; Se di fatto vaglia subitamente e non altro e della voce realmente; Adesso per hora e subito essere ottima voce; Ambi, ambo, ambe, ambidue; Poco meno per quasi; La particella non che non haver sempre forza avversativa e di negatione; Usare col secondo caso; Medesimo non accordato ne col genere ne col numero; Contrastano e contrastanno, soprastano e soprastanno e così a’ altri tempi; Intravenire esser ben detto; Intento non è voce solamente poetica; Impoverire attivo; Del potersi ò nò scrivere esempio e tempio; Parete e trave in genere mascolino; Tempi del verbo caggio; Tutto dì, tutto gente e simili ben detto; Gesti e tratto; Possendo per potendo; A soverchio e che diminuito; Improprietà somiglianti à sproposito e pure non senza esempio (pp. 291-393);

Indice (ed. 1655 pp. 209-16; ed. 1671 pp. nn.).

 

Apporto generale dell’opera

Obiettivo dell’autore e tipo di grammatica: Obiettivo dell’autore, dichiarato già nell’ampia prefazione, è sfatare il principio d’autorità, sostenuto variamente da altre grammatiche, sia che esso venga attribuito alle 'decision de’ grammatici', all’uso 'o sia del popolo o de’ più eletti', all’autorità degli scrittori, alla 'prerogativa del tempo (si come v’è chi tutto vuole all’antica, chi tutto alla moderna, e chi fa un ordine composto dell’uno e dell’altro)', o all’attenersi al latino. Bartoli, pur nel rispetto della tradizione e degli autori del passato, accoglie invece il principio della libertà creativa e della ragione, in nome del quale ammette certi usi in contrasto con la norma codificata. Ad esempio la preferenza per l’imperfetto in -a, codificata dal Bembo, è motivata sia con la sua attestazione negli autori del Trecento, sia, appunto, con la ‘ragione’: il tipo in -o produrrebbe forme come leggeo, vedeo, udio, che sono 'maniera sconcia e insopportabile all’orecchio'. L’opera comprende pertanto una serie di osservazioni critiche su forme e usi particolari che si rintracciano negli autori del Trecento e sul giudizio che di esse avevano dato i grammatici precedenti, e specialmente il Salviati.

 

Interessi specifici:

Corpus di esempi: Sono tratti dagli scrittori del 1300 e 1400 'che in fra quello spatio vissero, e in pulitezza di lingua fiorirono, (e tutti li dobbiamo a Firenze, loro madre, o nutrice)'. In particolare Bartoli seleziona i seguenti autori, dei quali precisa l’edizione consultata fornendone l’indicazione bibliografica: Ricordano malespini e il nipote Giacchetto, 'gli autori del Novelliere antico' e Brunetto Latini per il periodo in cui 'la lingua era un non so che più salvatica e rozza', poi Dante, Giovanni Villani, Matteo Villani, Filippo Villani, Jacopo Passavanti, Fazio degli Uberti, Francesco Petrarca, Piero de’ Crescenzi, ai quali si aggiungono nell’edizione del 1671 Francesco Barberini, Fra' Bartolomeo da S. Concordio Pisano.

 

Interesse generale:

 

-          Influenza subita: Bartoli si inserisce in un filone grammaticale che si oppone a quello seguito dall’Accademia della Crusca, e che vede tra i suoi protagonisti, oltre al Beni e al Tassoni, Giulio Ottonelli, Scipione Errico, Diodato Franzoni. Tema fondamentale della riflessione del Bartoli è tuttavia, più che l’opposizione alla tradizione, discutere la legittimità o l’illegittimità dei veti posti dai grammatici, dal momento che nei testi del Trecento egli riscontra oscillazioni d’uso, e non il rispetto di un’unica norma.

 

-          Influenza esercitata: Nel 1717 il napoletano Niccolò Amenta ripubblicherà Il torto e il diritto del Non si può per criticare le scelte del Bartoli, che accusa di aver legittimato usi scorretti della lingua, e per difendere, con le proprie proposte, il principio d’autorità della tradizione e la politica linguistica della Crusca. Il Corticelli riconoscerà l’importanza del lavoro nella premessa alle Regole ed osservazioni di lingua toscana, ridotte a metodo e in tre libri distribuite (1745), pur criticandone la poca sistematicità e organizzazione.

 

Nota bibliografica

Trabalza 1908: ad indicem; Mortara Garavelli 1964; Grana 1974: 1733-38; Bartoli 1982; Vitale 1984: passim; Serianni 1993: 520-22.